Nonostante abbia scritto migliaia di articoli e post in cinque anni di mestiere, non ho mai vinto un premio .Forse non meritavo e non merito né gli uni e né gli altri. Ma sappiamo bene che i premi non vanno ai meriti ma sanciscono un’appartenenza a unestablishment. E chi stronca rompe un equilibrio di elogi incrociati e non è più establishment. Non so ancora cosa accadrà a questo blog e ai suoi autori,dopo questo post,ma le polemiche non mancheranno.Perché stroncare non fa bene a chi stronca. E non fa bene a chi è stroncato. Perché bisogna intendersi sul significato della parola stroncatura. La stroncatura non è un parere negativo su un libro o un blog. La stroncatura è un parere estremo, radicale, che tende il più delle volte a ridicolizzare e a schernire il lavoro di uno scrittore o di un umile blogdiano postatore.Lo stroncatore è amato, troppo spesso, da quelli che non riescono a pubblicare, da quelli che vorrebbero scrivere dei libri e non hanno il coraggio di farlo, da quelli che ritengono il mondo del blog, o di internet, o di quello che volete, un mondo chiuso, sostanzialmente mafioso, dove non si può entrare se non per cooptazione. E dove non ci sono meriti ma soltanto privilegi.Il lettore di stroncature, l’entusiasta delle stroncature, è di solito un frustrato che manda avanti i critici più radicali in vece sua, che si sente vendicato e rappresentato da qualcuno che, coltello tra i denti,entra nella cittadella fortificata degli intellettuali e del mondo culturale, e comincia a tagliare gole, e a seminare distruzione. Il lettore di stroncature è il pubblico che assiste all’esecuzione pubblica di un condannato alla ghigliottina, e applaude. Non va bene. E soprattutto non è così che funziona.Perché in fondo la stroncatura non delegittima soltanto l’autore. Ma delegittima la cultura nella sua totalità. In fondo è il sintomo di una malattia profonda, che passa inevitabilmente dal disprezzo per le opere creative e per la cultura.Un disprezzo mascherato da altro. In realtà il critico non fa altro chedire: io faccio a pezzi gli scrittori, li invito a non pubblicare mai più, li espongo al ludibrio dei lettori perché vorrei soltanto capolavori. Ma in realtà il ludibrio pubblico investe tutta l’attività letteraria e creativa. Ma se ci si fermasse a questo, l’articolo che sto scrivendo apparirebbe soltanto come un pentimento o un mea culpa. In realtà ci sono alcuni aspetti che vanno presi in esame.
lo scrivere e il pubblicare un post non e' più il frutto di un percorso intellettuale. E' un modo per mostrarsi, per essere ammirati. Essere scrittori comincia a significare tutto meno quello che davvero deve essere. Da qui comincia un meccanismo abbastanza perverso, per cui si pubblica e ci si fa' recensire dagli amici,che a loro volta pubblicano e vengono recensiti dagli scrittori di blog che a quel punto diventavano critici. Tutti i libri o post sono capolavori,tutti gli autori sono una scoperta, tutti romanzi sono belli per forza.Quando all’inizio del 1980 Umberto Eco finì di scrivere Il nome dellarosa, lo mandò a una decina di amici in manoscritto con una domandapreoccupata: «un romanzo potrebbe danneggiare la mia immagine dirigoroso docente universitario?». Ve la immaginate oggi una preoccupazione del genere di chiunque si dia alla narrativa o ai blogs venendo da un altro mestiere?Bene il disastro e'compiuto. Ora non si tratta più di stroncare, e dunque togliere linfa ad autori sopravvalutati, ma semmai di cercare tra le macerie qualche pezzo di valore che puo' far sì che si ricominci da capo.Se stare «sul banco dei cattivi» è un modo per risollevarci dal deserto tremendo del blog italiano mi può anche stare bene. Ma pur stimando molto i nostri denigratori, ho davvero i miei dubbi…"
ASTERIX..........
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